Negli ultimi due anni constatiamo un continuo cambiamento nelle abitudini quotidiane, così in famiglia come nel lavoro. Quella che fino a poco tempo fa era una parola utilizzata solo oltreoceano, oggi è ampiamente diffusa anche da noi: lo smartworking, letteralmente “lavoro agile non vincolato da orari o da luogo di lavoro, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro”.
Scritta così sembrerebbe una formula magica che permette al lavoratore di ritagliarsi molto più tempo libero, maggiori momenti da trascorrere in famiglia, meno stress generato dal trasferimento casa-lavoro e meno dispendio di denaro per viaggi, vitto, vestiario….insomma una manna dal cielo, e in effetti lo è! Ma in moltissimi casi i benefici ci sono anche per il datore di lavoro, perché è aumentata la produttività e sono diminuite le spese relative al costo della postazione lavorativa: costi energetici, mensa, trasferte, arredi e pulizie degli spazi.
Però sembra che non tutti la pensano così: il 30% degli intervistati dal social Linkedin preferisce lavorare a tempo pieno in ufficio, il 23% da casa e il 47% una via di mezzo che preveda giornate in cui recarsi sul luogo di lavoro alternate a giorni da trascorrere alla scrivania di casa. Chi opta per il lavoro in ufficio lo fa principalmente per il piacere di essere circondati da altre persone e per la maggiore produttività. Al contrario, chi sceglie l’ambiente domestico come sede lavorativa lo fa per il maggiore equilibrio tra vita familiare e lavorativa e per evitare le difficoltà del pendolarismo.
Nelle scelte pesa fortemente l’aspetto ambiente circostante, la casa in cui ci si trova a lavorare. Poco è cambiato rispetto ad una riflessione fatta su questo blog qualche mese fa: le mura domestiche in molti casi non sono state pronte ad accogliere smartworking dei genitori abbinato alla didattica a distanza dei figli. Ammettiamolo, eravamo parecchio impreparati a mesi di lockdown, sia dal punto di vista delle attrezzature (in molte case non esiste né una buona connessione internet né una stampante o un computer per ogni componente familiare), sia per gli spazi, spesso inadeguati ad accogliere tutto il nucleo familiare, non davanti alla televisione in compagnia, ma con l’esigenza di isolarsi per leggere ad alta voce, parlare al telefono, collegarsi con la webcam.
In situazioni di questo tipo lavorare diventa improduttivo e tutt’altro che smart, studiare diventa un’impresa e anche gestire una casa si trasforma in un incubo.
Chi ha potuto ha cercato di adeguare gli spazi a disposizione ma sono già molti i clienti che hanno richiesto un quadrilocale al posto del trilocale in possesso attualmente: il timore di nuovi periodi di costrizione in casa lascia il segno e chi aveva l’idea di cambiare casa nei prossimi anni ha deciso di anticipare i tempi attivandosi nella ricerca.
Al momento questo si scontra con la poca disponibilità di appartamenti con le caratteristiche richieste, anche perché le esigenze sono molteplici. Oggi non si parla più di quadrilocale, ma di quadrilocale con annessi e connessi specifici: vicinanza ai servizi e mezzi di trasporto, giardino o terrazzo, e tutti quei confort che rendono un eventuale smartworking davvero smart e affrontabile con serenità proficuamente.
L’appello dunque va ai costruttori che negli anni a venire dovranno sempre più intercettare le esigenze degli acquirenti e ai possessori di case che giacciono inabitate, con tutte le conseguenze immaginabili, di valutare la vendita approfittando anche della “frenesia” attuale del mercato che rende le vendite di immobili certificati e selezionati dagli esperti del settore, particolarmente favorevoli.
ANDREA LEO
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